LORENZO : FILOMENI = RUGGINI : LUMINESCENZE

E’ la curiosità – di gran lunga una delle qualità dell’uomo più maltrattate – che ci fa avvicinare alle opere di Lorenzo Filomeni: artista a tutto tondo, autodidatta dalle modalità inconsuete, sicuramente più di quanto ci si potrebbe aspettare proprio in virtù dei risultati raggiunti e con quella non trascurabile voglia di sperimentare che sembra, al giorno d’oggi, mancare nel panorama artistico per lo meno nazionale. Intendiamoci: non è che questa volontà manchi del tutto. Anzi. Piuttosto, la vediamo quotidianamente assumere connotati di provocazione – e su tale aspetto provocatorio adagiarsi senza affanno! – che lasciano dubbi effettivi sulla portata dei risultati raggiunti e, di conseguenza, sulla reale maturazione dei loro artefici.
Fortunatamente, per le opere di Filomeni, se di provocazione si tratta, allora è quanto di più sottile ci possa essere e costruisce le sue fondamenta su un ben radicato bisogno della nostra società attuale che, alla ricerca di nuove icone, desidera rivalutare ogni suo singolo prodotto, sia ora di primissima necessità che generato dal superfluo.
Paradossalmente però anche ciò che adesso è frutto di uno “scarto” può assumere connotati differenti: materiale rifiutato, ormai; e destinato per questo all’oblio che invece si trova a vivere una nuova esistenza.

Ruggine, dunque: la parola stessa richiama alla mente sensazioni sgretolate dal vento, un qualcosa di ormai perduto per sempre, in attesa di essere dimenticato o, se possibile, almeno negato alla vista: ciò che era in precedenza ha poca importanza e il metallo – concettualmente eterno nelle sue proprietà – ha abbandonato ogni velleità, finendo per annullarsi tra ciò che lo circonda.
Una reazione chimica anche, la più naturale possibile, quella del deperimento di tutte le cose, fino al completo e inevitabile epilogo.
Noi forse, ben poco consapevoli del perché tutto ciò avvenga, ne constatiamo sempre e soltanto gli ultimi, ineluttabili effetti.
Non andando oltre.
Lorenzo, invece, no.
Oltre ad aver rilevata la forza vitale che anima questo processo continuo, che è salvifico nelle sue intenzioni perché fino all’ultimo protegge l’anima del materiale, vi ha trovato molto di più: un mondo, anzi, per dirla alla sua, “un universo intero da esplorare”, vasto come lo sono le profondità del cosmo stesso; e così armoniosamente intenso da rimanerne colpiti all’istante.
Scoprendo oltretutto come questo avesse possibilità praticamente infinite di analisi, visiva, materiale e, forse, intellettuale. Di certo spirituale, in linea con la sensibilità propria del nostro artista.
Sono visioni, le sue, astratte e informali allo stesso tempo, che prendono spunto sia dal caso, concedetecelo, così come dal ragionato procedere “a strati” del loro ormai abilissimo “componitore”.
Viene da chiedersi, osservando proprio l’artista che velocemente prepara le sue tele, cosa abbiamo di fronte, se pittura o scultura: dell’una ha sicuramente una base teorica che riguarda la preparazione vera e propria dei supporti, base teorica che ha sapori d’antica bottega d’arte dove pratica e teoria spesse volte erano una cosa sola. Dell’altra possiede invece la gravità del gesto; e la visione d’insieme, quel carattere che permette all’artista, pur non intervenendo in prima istanza nel dettaglio, di concepire l’unità della sua opera secondo il disegno che ha nella mente.
Da questo punto di vista, comunque, Filomeni è, a tutti gli effetti, più uno scultore (“di porre” – chioserebbero molti celebri scrittori del passato) che un pittore. Troppa distanza infatti esiste tra il “fare pittura” e l’opera di Lorenzo; troppo diverso è l’approccio con cui egli si pone di fronte alla sfida di una sua nuova tela.
Lo è, comunque, scultore, soltanto a fini didascalici: nessun tipo di speculazione teorico-artistica anima il procedere di questo nostro giovanissimo ma una ferrea consapevolezza del proprio fare e una volontà ancor più costante nello scandagliarla. Oltre che una certezza assoluta nel suo personalissimo “essere” artista. Ciò si manifesta nell’impegno quasi maniacale che si rileva in ogni suo lavoro – finito – e in ciascuna delle fasi che servono per portarlo a termine.

“A dispetto del risultato?” verrebbe da domandarsi? Cioè: tali sono le sue certezze da adagiarsi sul suo modus operandi e, con questa sola premessa autoconoscitiva, procedere senza impacci?
Neanche per idea: è costante in lui la volontà di ricerca, di sperimentazione, di progresso che è contemporaneamente pratico e sensibile. A ogni tappa le opere rispondono a questo suo bisogno di conoscenza, di miglioramento, di sviluppo: e come non potrebbe essere altrimenti! Si osservino pure, le sue “ruggini”: appaiono, naturale conseguenza, più acerbe quelle di qualche anno fa, insicure nel “segno” gettato sulla tela, quasi a colmarla nella sua interezza come a voler ricomporre un’immagine reale di ciò che era in precedenza; incredibilmente ponderate, quelle di adesso, negli spazi più rarefatti dove anche la scelta del materiale è selezionata dalla mano pratica oltre che dall’occhio esperto.

Perciò, ecco le polveri e gli altri inerti di ruggine; l’acqua e la colla; una tela con perizia preparata e il colore, imprescindibile: ecco dove scultura e pittura si incontrano, in Lorenzo Filomeni!
Nei materiali ossidati scovati sotto chissà quale struttura ormai alla deriva, nei barattoli colmi di vernici e colla, nei pennelli più e più volte risciacquati.
Nei gesti, dolci e gentili così come violenti e brutali con cui in un attimo dona un senso a quel fare.  Nella totale apertura e disponibilità, che chiameremmo spesso ingenuità, di chi non può vantare sovrastrutture a cui chiedere aiuto né tanto meno autorità a cui rendere conto.
Eppure non si percepisce alcun “vuoto”, in Lorenzo, non si intravedono lacune o mancanze: il suo percorso non ha “creato” nella più completa anarchia artistica ma si è nutrito, strada facendo, di stimoli dei più grandi (Fontana, Burri, quelli che Lorenzo stesso ricorda ogni giorno come ideali assoluti), confortato da una fantasia che, a dispetto di tutta una vita, ne sembra la compagna di viaggio.

Nella propria fantasia Filomeni ha infatti rintracciata la sua vera “luce” d’artista.
Sorprendendoci una volta di più, egli ha voluto espandere questa luce, manifestarla nei suoi “nuovi” lavori - presentati in questa esposizione -, rendere partecipi ognuno di noi di questa esperienza.
Sono, queste opere, figlie di un’equazione ben precisa, che deve alle amate ruggini e alla scoperta di questa fisica “luce” ben più di quanto l’equazione stessa possa recitare. E sono tele che come non mai rappresentano Lorenzo Filomeni nella sua essenza, di scultore-pittore, di uomo materialmente legato al mondo sensibile così come sensibilmente legato a quello materico (mi si permetta il gioco di parole), di artista in grado di attraversare il giorno e la notte, la luce e il buio con la medesima intensità.
Luminescenze, allora: lavori in positivo-negativo che non possiedono che una sola verità, frantumata dall’artista in più realtà distinte a vantaggio di coloro i quali avranno la fortuna di trovarvisi di fronte.

Del resto di procedimenti fisici, di reazioni chimiche, di equazioni naturali ancora si parla.
E di legami, strettissimi, che intercorrono tra gli elementi di questa equazione:

Lorenzo:Filomeni=Ruggini:Luminescenze

Non ha la valenza e la certezza di un assioma matematico -  e non vuole affatto esserlo, in realtà;  ma piuttosto l’incoscienza alchemica di quegli artisti del passato che, al vero un po’ falegnami e un po’ speziali, sperimentando, raggiunsero risultati ai quali, ancora oggi, rendiamo omaggio.
E a chi scrive piace vederla così.
Se dunque per ottenere qualcosa si debba per forza dare in cambio qualcosa che abbia il medesimo “valore” – così come recita un dei principi alchemici più comuni e anche più inflazionati nel corso dei secoli, soprattutto sulla questione del “quantificare” quel cosiddetto “valore” – noi non lo sappiamo. Ma, nel caso, almeno in questo, Filomeni soddisferebbe in pieno tale richiesta.
Lorenzo non sarà forse un artista: probabilmente è solo un fortunato e dotato autodidatta alle prese con le sue fantasie.
Ma, con costante entusiasmo per l’Arte, ogni volta prende a prestito qualcosa dalla Natura, dal suo intuito, dal suo essere, per plasmarlo e riconsegnarlo al mondo con la consapevolezza di aver comunque restituito “qualcosa”.
E a parer nostro, per il momento l’Arte gli è debitrice.

Francesco Mutti

 

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